• Storie

    Siamo tutti poeti perché siamo esseri umani

    28 Settembre 2020 • Eleonore

    Laboratorio di scrittura creativa “Fabbricare storie”, Serre dei Giardini Margherita, settembre 2018

    A inizio 2020 ho fatto una bella chiacchierata con Bernard Friot per un’intervista che dovevo fargli per la rivista LiBeR, che aveva appena assegnato il premio di miglior libro del 2019 al suo Un anno di poesia.
    Abbiamo parlato a lungo del libro, di poesia e anche di tanto altro. Sul numero 126 di LiBeR trovate l’intervista La poesia è una cosa che succede mentre qui sotto tutto il resto.

    Il libro sta andando molto bene…

    In Italia la risposta è stata immediata. Dopo un mese la prima stampa era già esaurita. E poi sto continuando a fare corsi sulla poesia, sempre molto partecipati. È davvero straordinario. Sono stato invitato a fare corsi, ho fatto due corsi in Sicilia l’autunno scorso, con 160 persone, soprattutto insegnanti.
    Per me è incredibile, in Francia sarebbe impossibile!
    Vuol dire che in Italia c’è… qualcosa con la poesia.

    Cerco sempre di mostrare come si fa a leggere la poesia, perché la poesia ha bisogno di una lettura creativa, ha bisogno della creatività del lettore. 
    Dobbiamo sempre trovare un modo di accompagnare adulti e bambini. Con i bambini, in realtà, è facilissimo: basta dargli qualche scintilla, e loro fanno tutto il resto, da soli.

    Innanzitutto la poesia è molto democratica. E facile. Sì, la poesia è facile! C’è una citazione di Denis Roche che ho ripreso in Un anno di poesia e prima in Dieci lezioni sulla poesia, l’amore e la vita, che mi piace molto:

    A dispetto dell’opinione comune, la poesia è il genere più facile, più aperto. 

    Denis Roche

    Io questo lo vivo. Lo vivo soprattutto nei laboratori.

    In un laboratorio in una scuola del 19° arrondissement di Parigi, un quartiere molto popolare, con bambini che vengono da tutto il mondo, tutti hanno scritto qualcosa. E hanno inventato qualcosa di molto forte e interessante dal punto di vista della scrittura e della riflessione sul linguaggio, non hanno riprodotto una struttura già esistente… come si fa spesso. Spesso leggono una poesia e poi imitano, riprendono la struttura della poesia stessa. Io non faccio così, lascio la porta aperta e i bambini sono capaci di reinventare tanti modi diversi di scrivere.

    Nel tuo libro e nei tuoi laboratori fai capire che la poesia è anche un gioco.

    Ma, come ogni gioco, è serio!

    Proprio come diceva Bruno Munari.

    È curioso ma non mi piace molto il modo di dire “giocare con le parole”, anche se sono spesso presentato così: un giocatore di parole. In realtà io gioco molto poco. Più che giocare, mi piace creare. Forse perché non mi piace seguire le regole del gioco. Se è un gioco è uno di quelli in cui puoi decidere tu le regole. Le regole le puoi creare tu!

    In Italia ci sono stati i famosi laboratori di Bruno Munari che si chiamavano Giocare con l’arte, quindi quando si parla di gioco c’è anche questo riferimento, almeno per me.

    Sì, lo capisco bene, ma non so perché faccio fatica a usare questa parola. Forse perché mi vengono in mente tanti giochi di competizione, che sono molto lontani da me e dal mio modo di lavorare. Ma se ci riferiamo allo spirito di Munari e di Rodari, è tutta un’altra cosa.

    A proposito di Rodari, sto scrivendo un articolo sul concetto di ‘problema fantastico’: è espressione che, a mia conoscenza, Rodari ha usato una volta sola negli esercizi di fantasia. Io direi che ogni poesia è un problema fantastico, nel senso che hai alcuni elementi e sei tu che devi trovare il modo di mettere in relazione questi elementi: possono essere due parole, come il binomio fantastico, ma possono essere anche molto diversi – una parola e una striscia, un ritmo e un colore, etc. – e devi prima di tutto trovare la struttura, il meccanismo, la regola. E questo vuol dire che la regola non è data prima. Per questo, per esempio, non sono molto legato al movimento OuLiPo, non mi sento oulipiano, perché per me è troppo meccanico. Mi piace di più inventare io stesso il meccanismo. 

    Un’altra parola chiave del tuo libro e dei tuoi laboratori secondo me è libertà.

    Sì. E libertà per me è legata a responsabilità. Lo dico spesso anche quando faccio laboratori di lettura, quando propongo di manipolare i testi, che significa che posso cancellare parole, partire da una parola sola della poesia e poi leggere tutta la riga, poi leggere la riga prima e la riga dopo, o leggere dall’alto verso il basso ma anche al contrario…
    Mi ricordo che Chiara Carminati [che ha fatto la traduzione e l’adattamento di Un anno di poesia] ogni tanto faceva un po’ fatica a sperimentare questi modi di lettura, soprattutto con i poeti vivi. Mi diceva “Sì, è interessante ma dobbiamo trovare un altro esempio perché non oso proporre questa attività con la poesia di un poeta vivo”. Secondo me, invece, il lettore ha questa libertà perché ha la responsabilità di far dire qualcosa alla poesia. La poesia non parla da sola. Sono io lettore che dò senso, ma anche musica, trasformo il testo scritto e stampato con la mia voce, metto la mia emozione, devo trovare il ritmo. E poi, anche impaginare una poesia è un’interpretazione della poesia stessa, basta impaginare in modo diverso e già la poesia ha un’altra risonanza. Questa libertà è responsabilità. E quello che unisce queste due parole secondo me è la parola creatività.

    Un altro aspetto secondo me molto bello che hai svelato è che la poesia è legata alla vita e alla vita quotidiana, non è qualcosa di staccato dalla vita ma inserito nella vita stessa. Questa chiave di lettura ti fa vedere la poesia dappertutto e allo stesso tempo come qualsiasi cosa possa essere uno stimolo alla poesia. 

    Sì, perché la poesia non è solo nelle poesie. Lo sappiamo: la poesia è nella pubblicità, nella narrativa, etc. Per esempio, quando scrivo un racconto breve uso anche le tecniche poetiche: il ritmo, le assonanze, le rime, etc. perché anche i sensi parlano all’immaginazione, l’immaginazione non è solo visiva ma c’è una memoria sensoriale che dobbiamo utilizzare per aiutare il lettore a sentire, a partecipare alle emozioni che sono raccontate nel libro. In verità, in un racconto ci sono poche indicazioni, per esempio per descrivere un personaggio, ed è il lettore che deve completare. 

    E poi la poesia può parlare di tutto, è un modo di dire, di interpretare il nostro mondo, perché tutto fa parte di noi: la natura, naturalmente, ma anche gli oggetti più banali, tutto questo è vivo ed è in una relazione con l’essere umano. Possiamo comunicare attraverso tutta questa realtà. Devo dire che la parola “banale” per me è una parola molto positiva. Possiamo sempre trovare l’aspetto straordinario di ogni banalità. Un buco in una maglia è già una storia: significa che è successo qualcosa, che c’è un insetto, forse una tarma, che c’è stato un essere vivente che ha fatto qualcosa. È strano ma mi piace la banalità. 

    La poesia, in generale e con quello che ho vissuto e che vivo con questo libro,… la poesia mi dà gioia. Quello che vivo con la poesia è soprattutto in relazione agli altri. Dico sempre che un momento di laboratorio di poesia è più forte, da un punto di vista emotivo, che la scrittura stessa di una poesia. Quando un bambino, o un adulto, scrive anche solo due righe ma che ti toccano, vuol dire che tu hai dato lo spunto ma poi la creazione è una creazione collettiva; e lui ha scritto da solo ma era accompagnato dagli altri. E si sente, si sente che tutti sono contenti, tutti sono emozionati. È un momento di condivisione incredibile.

    Anche la parte dei laboratori quindi ti dà molta gioia?

    Sì, tantissimo. È un modo diverso di creare. Penso a Bruno Munari, che abbiamo citato anche prima. Due o tre anni fa ho letto una sua dichiarazione che mi ha molto aiutato a far capire quello che vorrei fare e quello che ho sempre cercato di fare: lui dice che dobbiamo superare il concetto di arte PER tutti – perché presuppone ancora l’idea dell’artista come persona “diversa” – e dobbiamo arrivare al concetto di arte DI tutti. È esattamente quello che vivo nei laboratori. È tutto il gruppo che fa poesia. E anche se è una persona che scrive quella poesia, non l’avrebbe scritta senza la presenza degli altri. E questo è meraviglioso.
    Questo libro è nato dai tanti laboratori che ho fatto ed è a suo modo un laboratorio. Ha lo scopo e l’ambizione di creare la poesia di tutti, di stimolare la poesia di tutti. Siamo tutti poeti perché abbiamo tutti un rapporto con il linguaggio. Prima di essere un genere letterario, la poesia è un rapporto con la lingua, dice il poeta di Haiti Lyonel Trouillot. E questo è vero. Un bambino che dice “farfalla, farfalla, farfalla”, perché gli piace la parola “farfalla”, perché sente il ritmo, il suono particolare, perché gioca con le consonanti, ha un rapporto poetico con la lingua. Quindi vuol dire che la poesia appartiene a tutti. E uno che dice “sono poeta” è un falsario, perché siamo tutti poeti. Vuole dire: sono un essere umano. Siamo tutti poeti perché siamo essere umani.

    Grazie Bernard, per le tue riflessioni, sempre molto interessanti.

    Non vedo l’ora di fare questo laboratorio a Bologna a maggio [che nel frattempo è diventato ottobre, ndr] !

    Mi ricordo del primo laboratorio, quello di due anni fa: era una bella sfida, con tante persone, in quel bellissimo giardino… poi tutto è andato bene e secondo me c’era questa gioia di cui parlavo prima.

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