In un anno in cui tutto si è rivelato incerto, dove il cambiamento è diventato così rapido da trasformarsi in caos e dove molto poco è stato controllabile e prevedibile, di cosa abbiamo veramente bisogno?
Io ho iniziato a chiedermelo ai primi di marzo – all’inizio del lock-down, quando la “normalità” a cui ero abituata ha cominciato a crollare.
Ho incontrato una risposta solo parecchi mesi dopo. Quasi per caso.
A gennaio avevo voluto fare un esperimento: creare un gruppo di aspiranti poeti, ispirato alla pubblicazione del libro di Bernard Friot, Un anno di poesia.
Il libro è una raccolta di attività creative intorno alla poesia, una per ogni giorno dell’anno, per un anno.
Pensavo che sarebbe stata una vera e propria ispirazione al gesto creativo e che avremmo avuto, grazie alla piattaforma social, un’opportunità di condividere questo ‘fare poetico.
Da questo punto di vista l’esperimento si è rivelato un insuccesso.
Ma ha ben presto mostrato di avere un’altra ragione d’essere.
Aggiornare questo gruppo infatti è stato come poter gettare un’ancora nei primi difficili mesi dell’anno. Ma mi ha anche mostrato qualcosa di molto prezioso che ricercavo da anni. Finora senza successo.
Avevo sempre sbagliato porta. E avevo reso tutto molto più complicato di quello che è.
Il mio era il bisogno di una pratica.
IL MITO DELLA GESTIONE DEL TEMPO
Ho impiegato tantissimo sforzo (e alcuni anni) nella costruzione di abitudini e di routine con l’obiettivo di avere tutto sotto controllo, di riuscire a fare tutto, di mettere tutto al posto giusto nel tentativo di trovare un equilibrio nella mia vita divisa costantemente su più piani.
Nel tempo sono diventata bravissima a pianificare il giusto tempo per il lavoro. Il giusto tempo per la famiglia. Il giusto tempo per gli amici. Ogni impegno scandito dal suo orario, dal suo giorno.
Eppure anche quando l’equazione era perfetta, continuava a mancarmi qualcosa.
Quel qualcosa sta tutto in una differenza fra pratica e routine.
Perché questa differenza è così importante? Ve lo spiego subito con qualche esempio.
PRATICA vs. ROUTINE
Nel mio caso, andare tutti i martedì alla lezione di yoga è una routine. Fare yoga regolarmente è una pratica.
Aggiornare il gruppo Facebook tuti i lunedì mattina è stata una routine, cercare le immagini adatte ad ogni post è stata una pratica.
Non ne sto parlando per dire che una cosa è giusta e l’altra è sbagliata. Si tratta però di capire bene questa differenza per farne esperienza nella vita.
Le routine hanno mostrato, non solo a me, tutta la loro fragilità con questa pandemia. L’impalcatura delle nostre giornate si è sbriciolata: niente più eventi da organizzare niente più corse al mattino per accompagnare le figlie a scuola, nessun ufficio in cui andare, nessuna palestra in cui fare esercizio, nessun ristorante in cui ritrovarsi con gli amici al sabato sera.
Chi siamo quando perdiamo le nostre routine? Come ci sentiamo?
Le pratiche sono differenti. Niente e nessuno può togliercele. Sono nostre per sempre. E sono vive.
Sono attività che amiamo, e a cui ci dedichiamo regolarmente – forse giornalmente, forse no – ma non in un ordine particolare, né in un tempo stabilito.
Sono attività a cui tornare, volta dopo volta, per centrarsi. Per ritrovarsi. Per riconnettersi. Per focalizzarsi.
O ancora più semplicemente e radicalmente: per gioire.
PRATICA + ROUTINE
Le routine dovrebbero essere un aiuto per organizzare le nostre vite secondo dei ritmi a nostra misura. In questo senso, le routine dovrebbero rimanere un mezzo e non il fine del nostro vivere.
Si rivelano addirittura indispensabili per assicurare una lunga vita a una pratica perché spesso, pur amandola moltissimo, anche una passione può essere faticosa.
Una pratica richiede infatti una certa dose di impegno, molta pazienza e anche una grande disponibilità a non conoscere il risultato finale della nostra attività.
Se ti sei mai chiest* come fare a praticare yoga tutti i giorni, sai bene di cosa parlo. Se pratichi solo per abitudine, non ce la farai mai.
Ho trovato un libro molto divertente (Daily Rituals: how artists work) che raccoglie gli esempi di (bizzarri) rituali giornalieri di 161 artisti: il testo illustra come le routine possano diventare una strategia vincente per superare i numerosi ostacoli (quasi sempre autoimposti) e predisporre la mente a lavorare, a fare, a praticare, a creare.
Le routine creano un terreno rassicurante su cui muovere il primo passo in grado di superare le resistenze che sempre si attivano quando usciamo dal solco della ripetizione.
Dopo aver mosso quel primo passo il più è fatto, la fatica cede il passo alla curiosità di esplorare nuovi territori e al piacere di scoprire possibilità latenti dentro di noi.
Questo è il punto in cui comincia la pratica.