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    Quando il movimento diventa meditazione: l’eredità di Vanda Scaravelli

    30 Novembre 2017 • Serena

    Spesso prima di un seminario sento il bisogno – quasi fisico – di immergermi nell’atmosfera che quel periodo di pratica evocherà. Non è un modo per anticipare, ma una modalità per me di sintonizzarmi, di predisporre l’intenzione e l’attenzione.

    Mancano pochi giorni al nostro incontro con Sandra Sabatini e Michal Havkin e ho voluto tradurre questo testo: scritto da Nan Wishmner, pubblicato nel sito di Esther Myers e originariamente apparso sul sito di Yoga International nel 2003. Si tratta di un vero e proprio tributo alla pratica di Vanda Scaravelli e al suo approccio unico alla pratica dello yoga.

    Vi riporto la mia traduzione e vi auguro una buona lettura.

    Quando il movimento diventa meditazione: l’eredità di Vanda Scaravelli
    (Titolo originale: The Legacy of Vanda Scaravelli – Autore: Nan Wishner)

    “Ho incontrato per la prima volta Vanda Scaravelli quando qualcuno mi ha mostrato la foto nel volume ‘The Light of Yoga’: c’è una foto in cui dimostra Pashimottanasana (piegamento in avanti) con B. K. S. Iyengar in Mayurasana (la posizione del pavone) in equilibrio sulla sua schiena. Mi ha sorpreso vedere una donna rappresentata in un testo tradizionale di yoga; e ancora di più mi ha sorpreso che nella foto indossasse un bikini a strisce. Sebbene allora non potessi immaginare quanto sarebbe diventato importante per me il suo insegnamento, guardando indietro posso cogliere come quel semplice scatto avesse catturato l’unicità del suo approccio nel panorama dello yoga contemporaneo e la sua determinazione nel perseguire un insegnamento non convenzionale.

    Successivamente ho trovato la mia strada verso Vanda, attraverso il suo libro ‘Awakening the Spine’ (titolo italiano: ‘Tra Terra e Cielo’, Ed Mediterranee) e sono rimasta incantata dalle immagini, tante delle quali ritraevano una Vanda ottantenne che esegue con estrema disinvoltura asana avanzate, incarnando la sua stessa visione della pratica dello yoga come una danza senza sforzo, accordata al respiro e alla gravità.

    Ma è stato solo quando ho incontrato una sua allieva di vecchia data che ho cominciato a capire che la sua vita e il suo insegnamento rappresentavano tutto ciò che avevo cercato nello yoga: una via per imparare ad abitare il mio corpo, fino a che il movimento diventa una vera e propria meditazione.

    Vanda non ha cominciato a studiare yoga fino ai quarant’anni: ha praticato da sola, fino a scoprire un modo di lavorare che fosse in accordo con la natura e centrato sul rilassamento, un’attitudine di continua scoperta e una consapevolezza chiara e ordinata,

    Una vera yogi inconsapevole: Vanda era convinta che imparare lo yoga richiedesse “un tempo infinito e nessuna ambizione” e che l’insegnamento dello yoga non dovesse essere organizzato in un ‘metodo’. Ai suoi studenti, nel corso di sedute individuali, trasmetteva ciò che aveva scoperto attraverso il suo corpo: nello stesso modo in cui lo yoga è stato trasmesso per secoli. La sua vita è stata la testimonianza vivente della sua pratica. E’ stata in salute e dedita alla pratica fino all’età di 91 anni, anche successivamente alla frattura del femore che aveva subito ultraottantenne. Nella relazione con gli altri era una persona autentica: nelle parole di sua figlia Paola Scaravelli-Cohen, “era profondamente libera, fin dentro l’anima”.

    Dal momento che Vanda insegnava in incontri individuali e accettava pochissimi allievi, solo quattro persone hanno lavorato con lei per lunghi periodi.
    Diane Long, la sua allieva più nota, era originaria del North Carolina: si trasferì in Italia quando aveva 20 anni e studiò con Vanda per 25 anni, fino alla sua morte.

    L’insegnamento di Vanda non è semplice da afferrare con le sole parole: è stato solo quando ho avuto la fortuna di studiare con Diane che sono potuta entrare nelle profondità della pratica. Quando ho incontrato Diane per la prima volta, i suoi movimenti mi hanno ricordato la grazia e la leggerezza di una gazzella. Nonostante mi sia scoperta incapace di eseguire la maggior parte delle criptiche richiesta che ci poneva in classe quel giorno (“siate spaziosi, spaziosi, spaziosi; attivate i piedi; aprite le ginocchia), fui catturata dalla straordinaria fluidità e dalla forza rilassata del suo corpo, modellato dal suo lungo apprendistato con Vanda.

    Ciò che ho riconosciuto nel suo corpo era esattamente ciò che prometteva il libro di Vanda: “C’è un modo di praticare le posizioni dello yoga che chiamiamo ‘asanas’ senza il minimo sforzo.

    vandawave

    Disfare

    L’idea dello yoga di Vanda era nata dai suoi anni di pratica con due grandi maestri dello yoga della sua generazione: B.K.S. Iyeangar e T.K.V. Desikachar. Fu introdotta allo yoga quando il suo T. Krishnamurti, il filosofo indiano, e il violinista Yehudi Menhuin invitarono T. Krishnamacharya dall’India per insegnare loro lo yoga, nella sua casa di vacanza in Svizzera. Krishnamacharya non viaggiò e decise di inviare al suo posto due suoi studenti; Iyengar e Desikachar. Vanda, che all’epoca era prossima ai 50 anni, ricevette lezioni private quotidiane dai suoi ospiti e scoprì che attraverso la pratica “una nuova vita era cominciata e che il suo corpo esprimeva una gioia mai provata prima”. Continuò a praticare con Iyengar e Desikachar per diverse estati fino a che cominciò a lavorare per conto proprio in Italia: amava raccontare che lo yoga l’aveva ‘afferrata per i capelli’ spingendola in quella direzione.

    La sua pratica cominciò fra la precisione anatomica dello yoga di Iyengar e l’enfasi sul respiro del Viniyoga di Desikachar: da qui Vanda sviluppò un approccio unico e personale allo yoga, lavorando con il respiro e la gravità per liberare la spina. Aveva distillato alcuni principi essenziali: la resa alla gravità della parte inferiore del corpo restituisce una leggerezza che libera la parte superiore. Come un fiore, diceva, mandiamo le radici nella terra e ci apriamo verso il sole per fiorire.

    La divisione fra la parte inferiore e la parte superiore della spina si colloca in un’area che lei indicava come ‘parte posteriore della vita’ oppure ‘il punto centrale della spina’, tra la quarta e la quinta vertebra lombare.
    Liberare la spina non è qualcosa che il praticante può fare, precisava, ma è qualcosa che si dà quando il corpo si fonde nell’armonia e nella totalità del movimento che arriva in risposta a una profonda resa alla terra. In fondo, il lavoro in ogni posizione è lo stesso concedersi alla gravità lasciando il corpo rilassato, in modo che l’elasticità della colonna vertebrale sia risvegliata.

    Vanda credeva che le posizioni richiedessero un ‘disfare’, un agire senza scopo, assecondando il corpo invece di spingerlo o di comandargli di fare qualcosa in modo lineare (questo causa solo frammentarietà nel movimento).
    Sebbene i principi di Vanda possano apparire semplici, lei insisteva che non potessero essere strutturati in un metodo: il praticante deve poter essere sempre un principiante e ricominciare ogni volta dall’inizio.

    Come ho imparato studiando con Diane, la pratica di Vanda richiede un’idea di lavoro un po’ differente dalla meticolosa attenzione ai dettagli e alle asana che era il focus principale delle classi di yoga che avevo frequentato in precedenza.
    Disfare le tensioni è un processo intenso; lasciare andare vecchi schemi di tenuta e sforzo richiede un rilascio intensissimo. Il ‘rilassamento’ nel vocabolario di Vanda non indicava il collasso; il disfare non è un atto di passività, ma di attenzione.
    C’è un grande senso di determinazione nell’invito delal corpo alla gravità e c’è sempre da lasciare andare. Appena una tensione viene rilasciata e le articolazioni si liberano, i muscoli profondi si risvegliano. I piedi e soprattutto i talloni, diventano vivi e creano un solido contatto con la terra, in una modalità quasi prensile.

    Sempre più, il movimento parte dalla spina invece che dai muscoli superficiali che sono quelli che di solito lavorano (come i quadricipiti). E anche se così tante cose cominciano a cambiare a livello motorio nel corpo, l’attenzione deve rimanere sempre focalizzata sulla totalità del movimento.

    Il Cuore dell’insegnamento di Vanda

    Vanda Scaravelli ha insegnato a Diane a non focalizzarsi sull’esecuzione delle posizioni, ma piuttosto sul coltivare le condizioni che consentano al corpo di risvegliare la sua intelligenza innata. Oltre al ‘rilassamento’ e al ‘disfare’, queste condizioni includono il ‘senso del ritmo’, che ha una qualità persuasiva. Quando Diane insegna, spesso ripete l’invito ad alcune parti del corpo dei suoi allievi di lasciare cadere, ad altre di alleggerirsi e di espandersi ancora e ancora, ricominciando sempre o muovendosi verso un nuovo modo di coinvolgere tutto il corpo fino al rilascio, per quanto piccolo o sottile, attraverso la colonna. Sottolinea che l’importante non è cercare di trattenere le sensazioni o spingersi all’estremo, quanto piuttosto ricominciare ogni volta perseguendo un’attitudine di ascolto e di ricettività. Sebbene ci sia ritmo, non c’è una formula, e l’attenzione non dovrebbe mai diventare noia.

    Non appena il corpo rilascia le tensioni, il praticante scopre un movimento di estensione lungo la colonna che è spesso definito ‘onda’, perché ripetutamente descritto da Vanda come un movimento ondulatorio.
    Vanda ricorreva spesso a immagini tratte dalla natura nel suo insegnamento: oltre all’onda, si riferiva alle spirali dei tornadi e ai vulcani, agli alberi che grazie a profonde radici potevano crescere forti e slanciarsi verso il cielo con i rami, alle cascate che scendono potentemente verso il basso diventando poi spruzzi leggeri come nuvole che salgono verso l’alto, ai fiori che fioriscono senza sforzo.
    In un articolo pubblicato in Italia nel 2000 nella rivista “Viniyoga”, una delle allieve di Vanda, Elizabeth Pauncz, ricorda le lezioni in cui lei e Vanda “studiavano come utilizzare i piedi per decollare o atterrare e quindi praticavano la stessa tecnica in Tadasana per transitare fino a Urdhva Dhanurasana. Diane ricorda alcune lezioni in cui Vanda teneva la posizione in piedi richiamando l’immagine di un uccello su una sola zampa: oscillando morbidamente e sottilmente in avanti e indietro come una piccola barca nell’acqua.

    Queste sono solo alcune delle immagini creative che Vanda utilizzava: il suo approccio nell’insegnamento era unico per ognuno dei suoi studenti. “era un’insegnante molto poco ortodossa” a volte autoritaria, altre volte estremamente gentile” – racconta Diane. Le lezioni potevano coinvolgere il respiro con le braccia raccolte sul manico di una scopa, oppure studiando un’immagine dei polmoni prima della pratica di respiro o esaminando le foto di Krishnamacharya con una lente di ingrandimento. Diane ricorda che una volta disse a un allievo di correre intorno alla casa due volte: apparentemente con lo scopo di svegliare il corpo. Elizabeth racconta la storia di un’amica che una volta arrivò da Roma per una lezione e fu invitano ad allungarsi in Shavasana, posizione in cui rimase per un’ora e mezza. Vanda era deliziata dal fatto che l’amica fosse riuscita a dormire così bene e le disse: “E’ stata la migliore lezione che tu abbia mai avuto!”.

    Diane racconta che il cuore del’insegnamento di Vanda “non è quello di rendere l’asana confortevole per il praticante o di imporre una filosofia o una tecnica a qualcuno; al contrario, si tratta di mettere in relazione la terra e la vitalità del corpo”. Come questo si compia è una storia diversa per ciascun: alcuni corpi necessitano di essere accompagnati verso un progressivo stato di riposo. Altri richiedono di essere risvegliati. Dice Diane. “Occorre essere molto semplici” e l’insegnamento deve essere gioioso come un gioco. In parte si tratta di persuadere le persone affinché abbiano un rapporto più facile con il proprio corpo. Occorre guardare il modo in cui stanno attuando i vostri suggerimenti”.

    Questo approccio piò risultare enigmatico, come mi è capitato di sperimentare in prima persona durante le lezioni e guardando insegnare Diane agli altri: pieno di indicazioni non subito comprensibili. Recentemente ho sentito uno studente che dopo una torsione chiedeva con meraviglia “quindi l’utilizzo dei piedi e delle ginocchia è per trovare un sollievo?!. La risposta di Diane è stata: “Bisogna risvegliare la consapevolezza della terra in tutto ciò che stai facendo. Ma il movimento è rotondo, così ci vuole tempo affinché la terra risvegli la vitalità nelle diverse parti del corpo”. Diane racconta che spesso le sue stesse domande erano spazzate via con un “leggero gesto della mano” con il quale Vanda voleva indicare che “non erano domande rilevanti”. Vanda credeva che lo yoga richiedesse sempre di andare oltre a ciò che pensiamo di capire.

    La pratica del respiro di Vanda inizia sviluppando una relazione con il respiro così come è, allentando ogni sforzo inutile, invece di imporre degli esercizi forzandoli su antichi schemi di tensione. Quando la tensione si allenta, il respiro può approfondirsi e rafforzarsi così che la spina può crescere a ogni espiro. “Accolgo l’inspiro” diceva Diane nelle sue classi dedicate al respiro. “Il respiro vuole entrare, richiede uno stato di estrema ricettività. Nel respiro, potete scoprire davvero cosa vuol dire lasciare andare; è lì, in quel preciso momento, che avviene l’espiro”. In quel momento – ci spiegava Diane – il respiro incontra naturalmente le asana piuttosto che essere ingaggiato in un modo predeterminato o deliberatamente coordinato con il movimento. Un’altra allieva di Vanda, Sandra Sabatini, particolarmente interessata a questo aspetto della pratica, è l’autrice del libro “Respiro, essenza dello yoga” (ed. Armenia): una raccolta di schizzi poetici che esprimono la semplicità dell’approccio di Vanda Scaravelli al respiro. Il libro è intessuto di immagini: l’attesa, l’ascolto, il lasciare che il respiro fiorisca, e l’accogliere uno stato di quiete che permette al movimento di fluire all’interno, nella spina.

    Apprendistato

    Ciò che ho visto nel corpo di Diane mi ha spinto a studiare con lei: allo stesso modo Diana era stata spinta verso Vanda e il suo insegnamento da ciò che aveva visto nel corpo di Vanda. La sua introduzione avvenne a seguito di un invito a cena a casa di Vanda qualche tempo dopo un loro primo incontro a una dimostrazione di Tai Chi a Firenze. Quella sera a cena, Vanda aprì la porta come se non fosse neppure passato del tempo dal loro primo incontro, tenendo Diane per mano e guidandola verso la camera da letto dove le mostrè il suo ‘backbend’ preferito (nel quale Vanda entrava ripetutamente dalla posizione in piedi senza alcuno sforzo apparente). “Non avevo mai visto nessuno muoversi con tanta grazia e bellezza, con una tale forza rilassata” ricorda Diane. Vanda allora aveva 67 anni e lavorava alla sua pratica yoga da 20 anni. Invitò Diane a studiare con lei. “Cercava qualcuno a cui insegnare” – spiega Diane – “Era pronta. Si rendeva conto di quanto fosse importante. Voleva un’allieva”.

    Anche Diane era pronta. “Sapevo fin dal principio che avevo trovato ciò che stavo cercando” racconta “una strada chiara, un modo di lavorare con il corpo in grado di risvegliarne l’intelligenza e la bellezza.

    Diane aveva lezione con Vanda nella sua casa a Fiesole, una, due o tre volte alla settimana. Arrivava al termine della pratica mattutina di Vanda; lei la invitava a guardare e toccare dicendo “senti come è leggero” oppure “senti come è forte”. Ogni incontro durava un’ora e mezza o due ore. Vanda “entrava e usciva, andava e veniva dalla cucina, mentre io continuavo a lavorare. E’ stata l’esperienza più dura della mia vita. Quanta intensità e profondità e forza”.

    Il processo di Diane per trovare la sua strada verso il luogo che aveva scoperto Vanda non fu facile. Prima di incontrare Vanda era in grado di eseguire molte asana e di entrare e uscire da un backbend 108 volte consecutive, grazie all’insegnante Iyengar con cui aveva studiato. “Ma quando ho incontrato Vanda – racconta – ho scoperto che non ero in grado di eseguire neppure un singolo piegamento all’indietro. Non ero capace neppure di stare in piedi nel modo che lei mi mostrava”. Vanda utilizzava pochissime parole nell’insegnamento. “Ripeteva ‘apri le ginocchia’ oppure ‘riposa’ oppure ‘ora dobbiamo diventare come uccellini su un ramo quando distendono le ali’ e io provavo a fare ciò che lei chiedeva, per poi guardare il mio corpo e il suo nello specchio e accorgermi che non avevo capito nulla”. Un’altra volta ancora, Diane aveva camminato per un’ora tra gli uliveti di casa di Vanda per tornare a Firenze, piangendo lungo tutta la strada perché pensava che non sarebbe mai stata in grado di comprendere: si struggeva per trovare quella enigmatica combinazione di rilassatezza e risoluzione che Vanda aveva scoperto. Passarono molti anni, prima che cominciasse a sentirsi fiduciosa di poter lavorare da sola, onorando la richiesta di Vanda di andare oltre la pratica “perché c’è molto di più da imparare”.

    Dopo la morte di Vanda, Diane lasciò l’Italia e cominciò a insegnare negli Stati Uniti. Aveva scoperto – come lei stessa racconta – che circolava un’idea molto blanda di ciò che Vanda aveva portato nello yoga. Nel suo insegnamento Diane insiste che la pratica di Vanda non può essere ridotta a una “tecnica” e che era stata data un’enfasi eccessiva a certe idee: come quella secondo cui il “radicamento” sia correlato al “peso”, dimenticando completamente che la leggerezza era un elemento essenziale nella pratica di Vanda. La cosiddetta ‘onda’ – spiega ancora – è una coseguenza del creare le condizioni affinché il movimento sia completo; è la conseguenza del numero di forze in gioco piuttosto che un obiettivo da raggiungere.

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    Meditazione in movimento

    La pratica di Vanda nell’indicare le condizioni per un movimento totale, coltiva le premesse affinché anche la consapevolezza e l’essere siano un tutt’uno. Dopo molti anni di ritmici inviti a ‘riposare’ e a ‘disfare’ – racconta Diane – non c’è più il senso della linearità del movimento”. Il nucleo essenziale della pratica diventa “il proprio stato d’essere in relazione a se stessi”. Da meccanica la pratica diventa riflessiva. Sono rilassato? Sto tenendo delle tensioni?”. La sfida principale è di “portare consapevolezza al corpo senza risvegliare l’attività della mente”, evitando di ingombrarla con dettagli che rendono il movimento frammentato. Sebbene Vanda non abbia mai insegnato gli Yoga Sutra, il suo yoga è esattamente ciò che è descritto come “calmare le fluttuazioni mentali”.

    Lo yoga per come lo intendeva Vanda è un modo per liberare se stessi dalle abitudini e dalle certezze. “Ogni volta che intraprendi qualcosa” dice Diane “ tu non sai nulla… ogni singola volta si ricomincia, come se non si sapesse neppure cosa è la terra. L’unica cosa certa è che c’è un modo per abbandonarsi completamente che consente di riposare e che di essere sostenuti. E’ importante ricominciare ogni volta come se fosse la prima volta, fermarsi e ricominciare di nuovo. Dalla terra, devo scoprire cosa vuol dire sedersi, e successivamente devo scoprire cosa voglia dire crescere”. Le posizioni nello yoga di Vanda Scaravelli sono strumenti che consentono di rilanciare il processo di ricerca di uno stato rilassato e di ricevere il risveglio della colonna vertebrale e l’interezza del movimento che ne conseguono.

    L’allenamento all’attenzione è il cuore dell’approccio di Vanda, ciò che rende la pratica delle asana un sinonimo di meditazione. La sua allieva Rossella Baroncini riassume questo aspetto in queste parole: “Affidandoci consapevolmente all’azione della gravità e lasciando che la nostra respirazione si espanda, impariamo a lasciare andare ciò di cui non abbiamo più bisogno e a rinnovarci in ogni momento.” Rossella spiega che Vanda le ha insegnato a “guardare avanti, rimanendo completamente libera dai condizionamenti, dalle memorie, dalle credenze erronee” e che questo ‘yoga è libertà e amore’.

    Una volta osservai una foto di Vanda in Padmasana e commentai con Diane l’incredibile rilassatezza del bacino di Vanda in quell’apertura. Diane mi rispose con un sorriso: “un amore incondizionato per il mondo”. Vanda aveva un’”innata semplicità, linearità, concretezza… era questa la sua spiritualità” – dice Diane – “Era poetica ed essenziale”.

    La vita di Vanda e la sua eredità

    La presenza di Vanda è stata una testimonianza vivente della sua pratica e dell’autorealizzazione alla quale la pratica l’ha condotta. “L’aspetto più meraviglioso della sua personalità era la leggerezza d’animo, una contentezza innata e autoportante” – dice Diane. In un tributo scritto dopo la morte di Vanda, Elizabeth afferma che Vanda “trovava immancabilmente la strada per seguire il corso delle cose, in modo da non creare alcuna resistenza”.

    Una donna minuta, quasi sempre si muoveva a piedi nudi oppure indossava le infradito, perché amava dimostrare il potere della gravità. “Quando voleva scherzare” – ricorda sua figlia Paola – “era solita sfidarci dicendoci: tiratemi su! E tu potevi tirarla su come fosse stata una piuma. Poi lei si radicava al suolo e neppure un uomo grande e grosso sarebbe stato in grado di sollevarla”.

    Era un mix paradossale di grazia e sensibilità nelle relazioni, ma rispetto a se stessa non aveva nessuna convenzione o formalità. Sebbene avesse origini aristocratiche e fosse da molti conosciuta come “la Signora”, non si era mai servita del suo titolo in nessun modo. “Era sempre semplicemente Vanda” – dice Diane. Ospite meravigliosa, amava organizzare cene con amici famosi come Fellini, Leboyer, Aldous Huxley e allo stesso tempo la potevi vedere in grande confidenza con il vicino di turno che le dava un passaggio verso casa. Durante questi eventi non era raro trovarla poi appartata per i fatti suoi a leggere un libro. “Amava mettere insieme le persone e quindi sparire” – dice Paola.

    Secondo Paola, Vanda credeva profondamente nello yoga come strumento per sostenere e guarire il corpo. “Quando era malata o quando cadde fratturandosi il femore, la sua domanda costante era ‘quando potrò riprendere i miei esercizi? Perché sapeva che l’avrebbero guarita. Una volta fu investita da un’auto e rimbalzò sul cofano. Arrivò a casa rannicchiata come un animale ferito e cominciò a respirare. In una settimana tornò a stare bene”. Vanda rifiutò l’anestesia quando una volta le dovettero estrarre un dente: tutti i dentisti rimasero sconvolti e stupiti. Diane crede che Vanda cogliesse queste occasioni per ‘giocare’ con il respiro e il dolore.

    Vanda era sensibile e schietta nelle relazioni. “C’era una qualità nel suo ascolto che le consentiva di cogliere ciò che era nascosto in ciò che le dicevi”, dice Diane. Elizabeth aggiunge: “Non era possibile prevedere ciò che avrebbe potuto dire o pensare. Tagliava via tutti i dettagli”. Una telefonata con Vanda “poteva durare non più di trenta secondi. Lei di solito riattaccava senza dire ‘ciao’ e, a volte, questo poteva accadere anche se una persona era a metà di una frase”.

    Sfortunatamente, l’eredità di Vanda è piuttosto frammentata ed è stata documentata pochissimo. Aldilà dei libri pubblicati da Vanda e da Sandra e da qualche piccola pubblicazione di Elizabeth, sono disponibili sono due documenti video: uno distribuito da Ester Meyers, un’insegnante canadese che ha lavorato con Vanda ad intervalli nel corso dei suoi utlimi anni di vita; l’altro è un video informale di Diane che insegna e pratica, ripresa da una delle sue amiche.

    Sebbene ci siano poche possibilità di studiare con qualcuno che può trasmettere gli insegnamenti di Vanda, Diana offre questo suggerimento confortante: lo yoga così come lo ha compreso Vanda “ci riporta a qualcosa che il nostro corpo conosce già, uno stato originario di benessere”. Per questa ragione, Vanda era indecisa su quale titolo dare al suo libro “Awakening the Spine” o “Reawakening the Spine” (Svegliare la colonna” o “Risvegliare la colonna”). La capacità di cui si fa portavoce lo yoga di Vanda è presente già in ognuno di noi, in attesa delle condizioni migliori per rifiorire.

    Riferimenti:

    Immagini tratte dal libro “Tra Terra e Cielo” Ed. Mediterranee

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