• Storie, Yoga

    Intervista a Gabriella Cella

    15 Dicembre 2019 • Eleonore

    Gabriella Cella nel suo Ashram, luglio 2019

    “Lo yoga ha sconvolto la mia vita, ha cambiato radicalmente tutto”

    GABRIELLA CELLA

    Ho conosciuto Gabriella Cella nel 2013, partecipando a un suo seminario allo Yoga Festival. Non è stato un incontro casuale, nel senso che ero proprio andata a Milano per la sua lezione, dopo aver sentito parlare di lei da diverse persone. La prima era stata Lucia, la mia insegnante di Hatha Yoga di allora, che per diversi anni aveva seguito i suoi seminari e che alla mia richiesta di consigliarmi un libro sullo yoga mi aveva detto di cercare tra i libri di Gabriella Cella quello che faceva per me; e l’ultima a parlarmi di lei era stata Sonia, che aveva appena finito la sua scuola di formazione per insegnanti quando l’avevo conosciuto qualche mese prima al seminario estivo sullo yoga per bambini di Wanda Patt.
    Credo proprio di essere rimasta folgorata già a quel primo seminario di Milano. Ho sentito subito un’attrazione verso di lei e il suo yoga. E infatti in pochi giorni ho deciso senza esitazioni di iscrivermi al suo Master in Yoga Ratna – e lei fortunatamente mi ha accettato anche se i posti erano praticamente esauriti. Durante quell’anno di master ho poi sentito l’esigenza di affiancare alla mia pratica di Hatha Yoga una di Yoga Ratna, e così ho cercato a Bologna un’insegnante che si fosse formata con lei e grazie a Giulia, un’altra amica conosciuta in un altro corso di formazione, ho trovato Daniela.
    C’era qualcosa in Gabriella Cella e nel suo yoga che risuonava in me. Non avrei saputo dire cosa, probabilmente si trattava di più aspetti, e mi sono serviti diversi anni di pratiche con lei e di ascolto delle sue parole, per metterli a fuoco. Sentivo sicuramente di avere davanti una maestra, qualcosa di più di un’insegnante. Ma solo adesso posso dire che il suo Yoga Ratna mi affascina per la dimensione simbolica, per il lavoro sul femminile, per la creatività e la potenzialità narrativa, ovvero per la possibilità di creare storie. E non era solo questo, c’era anche altro. Gabriella mi è sembrata subito familiare, mi fa pensare al tempo stesso a mia mamma – hanno esattamente la stessa età – e mi ricorda anche la mia cara nonna paterna, per le sue mani e le sue radici emiliane.
    Sono stata attratta dal suo yoga, ma conoscendola meglio ho scoperto piano piano delle cose di lei che mi hanno spiegato il senso di questa attrazione e che mi hanno confermato che ero nel posto giusto. Oltre allo yoga, e nello yoga stesso, ho scoperto che c’erano anche l’arte e la politica.
    Da diversi anni avevo il desiderio di farle un’intervista e il suo seminario di Bologna è stata l’occasione, finalmente, per passare dal pensiero all’azione. E così l’estate scorsa, nel suo Ashram sulle colline piacentine, dopo gli esami (ah, sì! Nel frattempo mi sono iscritta alla sua Scuola quadriennale di formazione insegnanti) mi sono fermata una notte in più per poterla intervistare. È stata una lunga chiacchierata che ruota attorno a tre nuclei: yoga, arte e politica. Iniziamo con il primo, lo yoga.
    [Qui la seconda parte su arte e creatività]


    Quando e come è stato il tuo primo incontro con lo yoga?

    Ho incontrato lo yoga perché avevo dei problemi fisici. Allora ho cercato una disciplina che potesse aiutarmi, proprio io che sono molto indisciplinata! Non capivo perché continuavo ad essere sempre malata e ad avere così tanti problemi di salute (coliche epatiche, forti mal di testa, etc.) e allora ho provato a cambiare la mia vita. Ho cercato una disciplina che partisse dal corpo. Non so dirti perché, visto non sapevo neanche cosa fosse lo yoga, però mi aveva ispirato proprio il fatto che fosse una disciplina che partiva dal corpo; e siccome il mio corpo non lo consideravo per niente, ho pensato che fosse l’ora di iniziare a prenderlo più in considerazione. Ho cambiato anche alimentazione, in un certo senso ho proprio cambiato vita, mi sono messa in una disciplina. Ho iniziato così a fare uno yoga piuttosto fisico. Mi sono accorta col tempo che lo yoga non era soltanto una pratica fisica ma qualcosa di molto più profondo. Però all’inizio ho cominciato dal corpo e dai suoi disagi fisici. Penso che ci siano tante persone che iniziano così con lo yoga, perché lo vedono come una disciplina che parte dal corpo.

    E che poi non lavora solo sul corpo.

    Certamente.

    Però il primo punto di partenza è quello.

    È quello, anche perché all’inizio non ci rendiamo bene conto, almeno parlo per me, io non mi rendevo bene conto che corpo e mente sono una cosa sola. Li percepiamo divisi, invece lo yoga ci fa vedere che non c’è nessuna divisione.

    Quindi in che anni è stato il tuo primo incontro con lo yoga?

    Parliamo degli anni ’70.

    E come hai trovato lo yoga? Voglio dire: adesso lo troviamo dappertutto, ma negli anni ’70 non era così.

    Infatti. Ero a Pordenone per lavoro e il mio principale aveva chiesto in un’edicola qualcosa sullo yoga. Gli avevano risposto che non avevano niente ma io, incuriosita, gli ho chiesto: “che cos’è lo yoga?”. Allora lui mi ha spiegato qualcosa. Io avevo già letto Krishnamurti, mi piaceva molto. Krishnamurti non parlava di yoga, però ero già interessata a questo filone orientale. Avevo letto anche “La via dello zen” di Alan Watts.

    Sullo yoga, invece, all’inizio, non ho letto niente. Ho semplicemente cercato una persona che facesse Hatha Yoga e l’ho trovata nella mia città, a Piacenza. Era una donna, più giovane di me, faceva l’avvocato, veniva dal mondo della danza classica e conosceva delle posizioni di Hatha Yoga, che a sua volta aveva imparato dal suo maestro di tennis, che era un allievo di Krishnamurti. Le ho chiesto se mi insegnava qualcosa sull’Hatha Yoga e sul corpo. E lei mi ha preso come allieva. Sono stata la sua unica allieva. Andavo da lei quasi tutti i giorni. Si è impegnata moltissimo per instradarmi e per farmi provare tutte le posizioni particolari che conosceva.

    Facendo yoga i miei disagi continuavano ad aumentare. Però mi son detta che se stavo ancora più male significava che qualcosa si stava muovendo, che lo yoga toccava qualcosa nel profondo. Ho cominciato a interessarmi di più del mio corpo. Sono diventata vegetariana, non ho più bevuto alcolici, non ho più bevuto caffè, non ho smesso di fumare perché non ho mai fumato. Mi alzavo presto al mattino, facevo una doccia fredda, poi le ore di yoga, prima di andare a lavorare. Mi sono messa in un regime e col tempo ho visto dei risultati straordinari. Poi, ci vorrebbe una bella colonna vertebrale, che io non avevo… però, insomma, non importa. La cosa importante è che ho iniziato ad ascoltarmi molto. Ed è stato questo ascolto che mi ha portato a quello che poi ho raggiunto. L’ascolto di me stessa e l’ascolto degli altri. Quando ho iniziato a insegnare tenevo delle schede dei miei allievi per segnarmi i loro problemi, quelli che mi portavano e quello che vedevo io osservandoli, durante le lezioni. Mi scrivevo tutto, così poi andavo a cercare e ad approfondire. E poi sono andata in India a vedere dov’era lo yoga originale.

    Il tuo percorso di ricerca partendo dall’Hatha Yoga e da uno yoga più classico ti ha portato fino ad arrivare allo Yoga Ratna.

    Lo Yoga Ratna è questo “metodo”, chiamiamolo così, che ho ideato partendo da una visione femminile e mettendo in luce l’aspetto simbolico dello yoga. In un certo senso stravolgendo, ma neanche più di tanto, lo yoga classico, perché secondo me anche lo yoga classico è basato sulla simbologia, anche se non dice esplicitamente. Anche le posizioni più classiche, più antiche, sono posizioni molto particolari e hanno dietro un elemento simbolico. Per esempio, la posizione del loto può essere collegata a Shiva che è spesso rappresentato in questa forma. La posizione del loto crea un blocco energetico di base che poi spinge l’energia verso l’alto; è infatti una posizione che si è sempre usata anche per la meditazione.

    Per ideare il tuo metodo, lo Yoga Ratna, sei quindi partita dall’aspetto simbolico e dalla visione femminile. Mentre il simbolo era già presente nello yoga, il punto di vista femminile non esisteva…

    Non esisteva perché lo yoga era solo per uomini: creato da maschi e, per millenni, praticato solo da maschi. Mi ricordo bene che nel primo ashram dove ho studiato mi sono dovuta imporre, perché non mi volevano assolutamente tenere. Anche i miei compagni di classe – una trentina di uomini, figli di bramini indiani e di samurai giapponesi – non mi volevano perché ero bianca, ero donna, ero un’infedele sottocasta. Però lavoravo già molto bene con il mio corpo, facevo delle asana straordinarie, perciò mi sono imposta; perché in fondo e prima di tutto, negli ashram guardavano se eri “idonea”. Giustamente. Adesso non guardano più a niente. E così sono riuscita a rimanere nell’ashram e a fare i miei 33 giorni canonici. Ho questo pallino del 33: in ogni posto stavo sempre 33 giorni e poi andavo via.

    Hai sempre fatto 33 giorni in ogni ashram in cui sei andata?

    Sì. E poi, a quei tempi, c’erano dei biglietti aerei chiusi, a 35 giorni. Se prendevi quel biglietto avevi degli sconti particolari. E siccome di soldi non ne avevo, prendevo questi voli. Dopo 35 giorni dovevo tornare in Italia. Altrimenti, quando riuscivo a stare di più, andavo nello Sri Lanka, perché quando esci dall’India ti fanno un timbro in uscita, poi rientravo e potevo restare ancora.

    Quindi quando hai iniziato a praticare e a insegnare yoga in Italia lavoravi?

    Sì, lavoravo. Avevo 25 anni. Infatti adesso che ho 75 anni sono esattamente 50 anni che insegno. Lavoravo e avevo anche un figlio, che curavo solo io.

    Lavoravi in fabbrica, giusto?

    Lavoravo in una fabbrica, ero impiegata. Dovevo registrare gli operai che entravano, quindi dovevo essere lì prima di tutti, iniziavo prima delle 8. Perciò mi alzavo verso le 5 del mattino, facevo una doccia fredda, un paio di ore di yoga, poi mi mettevo in macchina e partivo per andare lavorare. E nel tragitto in macchina facevo i miei esercizi di respirazione. A volte al semaforo cantavo l’Om, qualcuno mi guardava come per dire “questa è un po’ fuori” ma io continuavo “Oooommmm”!

    In India ci sono andata con la prima liquidazione. Mi sono licenziata dalla fabbrica perché non avevo altri soldi e con la liquidazione sono riuscita a prendere il biglietto e a partire per l’India.

    Raccontami un po’ dei tuoi viaggi in India.

    All’inizio l’India è stata una grande delusione. Avevo una visione molto mistica dell’India, pensavo di vedere agli angoli delle strade i suonatori di sitar, le persone che pregavano… e invece ho visto uno sfacelo. Per noi occidentali certe scene sono davvero allucinanti. Adesso hanno coperto quest’aspetto: arrivi a Delhi e vedi la pulizia, i computer… mentre prima quando arrivavi, la prima cosa che vedevi era la gente che viveva per strada. Ricordo una catasta di bambini morti, uno sopra all’altro, come se fosse stata merce o rifiuti. In India ho visto delle cose terribili. Infatti maledivo gli occidentali, mi chiedevo come facessero a venire in questi posti. Vedevo delle scene allucinanti e continuavo a piangere.

    Poi adagio adagio ho cominciato ad allontanarmi dalle città e ad andare nei villaggi. E ho un’iniziato a conoscere un’India diversa. Nei villaggi vedi delle scene molto più tranquille e umane.

    Ho sempre continuato ad andare in India, appena potevo partivo, a volte ci andavo anche due volte all’anno. Ci andavo per cercare di verificare se quello che stavo facendo corrispondeva alla tradizione ma non posso dire di aver avuto degli insegnanti diretti – l’insegnamento diretto dovrebbe essere che vivi col maestro e stai lì per tutta la vita – perciò, in questo senso, non posso dire di aver avuto un maestro perché rimanevo in India per un periodo di tempo limitato e poi perché ho avuto tanti maestri, in tante situazioni diverse. Però l’India mi serviva, mi serviva da specchio, perché rifletteva quello che ero, continuava a farmi vedere e a mettermi davanti com’era la mia vita: come stavo vivendo, se mi comportavo in modo “giusto”, yogico.

    E poi l’India ha un grande cuore. Ti viene il mal d’India e hai voglia di tornarci: non c’è solo il mal d’Africa, c’è anche il mal d’India. Hai bisogno di rivederne i colori – dei sari che fasciano donne bellissime; quei colori meravigliosi che qui non vedi, mi avevano veramente affascinato. Hai bisogno di risentirne gli odori – quei profumi e quelle spezie che qui non senti.

    Se adesso, dopo il tuo percorso di 50 anni di insegnamento, dovessi dire che cos’è lo yoga per te?

    Lo yoga ha davvero sconvolto la mia vita, ha cambiato radicalmente tutto. Grazie allo yoga ho cominciato innanzitutto a prendere coscienza di avere un corpo. Ho iniziato a sentire il mio corpo, mentre prima non lo sentivo per niente. A scuola mi ero perfino fatta esonerare dalla ginnastica perché non sopportavo di fare qualcosa che riguardava il corpo.

    E poi lo yoga mi ha portato ad osservarmi dentro. E anche ad osservare attraverso i miei allievi. Sono stata fortunata perché ho insegnato molto presto: praticamente nello stesso momento in cui facevo pratica con la mia maestra, insegnavo alle mie compagne femministe. Avevamo un consultorio autogestito di medicina della donna – erano gli anni in cui avevano aperto i consultori pubblici – e quella sede mi è servita per cominciare a insegnare e trasmettere alle mie compagne quello che imparavo, sperimentavo e sentivo.

    Se dovessi pensare a un maestro in particolare, tra quelli che hai avuto?

    Se dovessi pensare a un maestro in particolare: Shankarananda, il mio maestro spirituale. Con lui ho avuto una relazione epistolare per più di vent’anni. Ci siamo scritti tante lettere, io gli scrivevo sempre che volevo un maestro, che mi sarebbe piaciuta la “presenza del maestro” e lui continuava a rispondermi di cercare la presenza del maestro dentro di me. Shankarananda mi ha colpito molto, era una persona straordinaria. Poi ho incontrato altri maestri interessanti. Ho avuto una fortuna incredibile perché in quegli anni sono stata nel centro di Rajneesh (Osho, ndr), ho partecipato alle conferenze di Krishnamurti sono riuscita a incontrare molti maestri che adesso non ci sono più. Poi ho conosciuto anche i maestri francesi, tra cui Gérald Blitz, che sono stati i primi a far conoscere lo yoga in Occidente.

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    22 comments
    Intervista a Gabriella Cella

    • Sonia ha detto:

      Bellissima intervista
      Grazie

    • Loredana Ricci ha detto:

      una Grande Donna è stata la guru della mia insegnante di yoga che è stata sua allieva, ho letto il suo libro sullo yoga ratna, l intervista molto interessante.
      Grazie

    • Marco Busatto ha detto:

      Pratdicare con Gabriella, ascoltarla, interagire con lei è stata una gioia… Mi ha profondamentente ispirato.
      Per caso…
      Lo scorso agosto ero nell’ashram, e, sempre per caso ho visto Gabriella parlare appassionatamente con un Anima Bella (ora ho realizzato chi era)
      Grazie per aver condiviso quando ho appena letto.
      Auguro a chiunche stia percorrendo la via dello Yoga, di avere la fortuna di conoscere Gabriella, e, di praticare lo yoga Ratna, e, di approfondirlo.
      Grazie a Gabriella per averlo donato al mondo.
      Grazie a chi sta diffondendo queste perle.

      • Eleonore ha detto:

        Ciao Marco, grazie per le tue parole. Io ero all’ashram a luglio, intorno al 20; l’intervista è stata fatta un lunedì mattina, sedute davanti alla “sala da pranzo all’aperto”: sarei rimasta lì ad ascoltarla per ore. E pensa che lei all’inizio mi ha detto che le sembrava di ripetere sempre le stesse cose! Auguro anch’io a chiunque di incontrare Gabriella.

    • EMILIA FORNARIO ha detto:

      Ho conosciuto personalmente la Maestra Gabriella, nel suo Ashram della provincia di Piacenza, in occasione di un magnifico ritiro di Ratna Yoga, nel settembre del 2018, sono rimasta cosi colpita da lei e dalla sua persona che non ho piu potuto fare a meno di interessarmi allo yoga di cui lei parla con tale e rara dolcezza direi quasi introvabile oggi giorno e la ringrazio ancora per illuminare il mio difficile percorso attraverso questa vera intervista ed i suoi esaudienti libri, unici e rari. Grazie Emilia Fornario.

      • Eleonore ha detto:

        Grazie a te, cara Emilia. Non ci conosciamo ma sento che le parole dell’intervista ti sono arrivate, come la presenza di Gabriella. Buon cammino nello Yoga Ratna!

    • Rosa ha detto:

      Grazie Spero proprio di riuscire a conoscerla questa grande maestra

    • Ivan petri ha detto:

      Ho fatto la prima lezione ieri, dura ma bellissima.Mi ha mosso qualcosa “dentro”, e penso che questo sia il primo passo per un lungo sentiero.

    • Ivan petri ha detto:

      Ho fatto la mia prima lezione ieri e mi ha mosso qualcosa “dentro”. Penso sia il primo passo verso il lungo sentiero dello yoga

      • Eleonore ha detto:

        Ciao Ivan, hai fatto una lezione con Gabriella o con qualche sua allieva/allievo?
        E’ molto bello quello che hai scritto e la sensazione che hai avuto, non posso che essere felice per te e augurarti buon cammino!

    • Filomena ha detto:

      Che interessante e bella intervista!

    • Monica ha detto:

      Pratico da anni Yoga Ratna con una insegnante formata dalla maestra Cella. Leggere i suoi libri é molto interessante. Grazie Namasté

    • Gisella ha detto:

      Grazie, bellissima intervista, una bella emozione leggerla, mi sembra di vedervi lì sedute …♥️♥️

      • Eleonore ha detto:

        Ho la stessa sensazione ogni volta che la rileggo: ritorno là, seduta con Gabriella davanti a casa sua, ad ascoltare le sue parole ♥️

    • Gisella ha detto:

      Una domanda…c’è il resto dell’intervista da leggere? L’hai pubblicato? All’inizio parli di tre punti yoga arte e politica…