• Arte, Storie, Yoga

    Intervista a Gabriella Cella (2° parte)

    16 Gennaio 2022 • Eleonore

    Gabriella Cella all’Ashram Surya-Chandra, luglio 2019 (foto di Eléonore Grassi)

    Dentro a tutte le persone c’è una forma straordinaria d’arte, però occorre riconoscerla

    GABRIELLA CELLA

    In occasione del seminario di Gabriella Cella che sto organizzando online per sabato 29 gennaio pubblico finalmente il seguito di una lunga intervista che le ho fatto qualche anno fa, che ruota attorno a tre nuclei: YOGA, ARTE e POLITICA. Dopo la prima parte in cui si parla principalmente di yoga, passiamo alla seconda, sull’arte e la creatività, anche in relazione allo yoga.
    Queste parole e questo tema – arte e creatività – sono anche lo spunto che ho lanciato a Gabriella per creare il seminario del 29 gennaio al quale ha dato un titolo molto suggestivo: Attorno a Margavati, la dea che indica il cammino dello Yoga Ratna.
    Ma prima di tutto: Chi è Margavati? “Una dea dei sentieri e delle strade e, dunque, la protettrice dei viandanti” (Dizionario dell’Induismo, Margaret e James Stutley, ed. Ubaldini)

    Buona lettura! E fateci sapere cosa ne pensate.


    All’inizio sono stata attratta da te dallo yoga ovviamente ma poi, piano piano, ho scoperto delle altre cose di te che mi hanno confermato che ero nel posto giusto. Una di queste – sembra una cosa che non c’entra con lo yoga ma secondo me c’entra – è l’arte. Tu, a volte, dici che dipingevi…

    Sì, ero un’artista. Ho sempre dipinto, anche quando lavoravo continuavo a dipingere. Lavoravo di giorno e alla sera andavo in un istituto d’arte, a Piacenza c’è un ottimo istituto d’arte.

    Quindi hai frequentato l’istituto d’arte di Piacenza?

    Sì, ho studiato lì 4 anni, sono “maestra d’arte”, si dice così.

    Non solo maestra di yoga, ma anche maestra d’arte!

    Prima maestra d’arte. Mi piaceva molto dipingere, ero soprattutto ritrattista, mi piaceva fare ritratti.
    Prima dei miei viaggi in India, andavo in Marocco e mi portavo sempre il mio quaderno per poter disegnare la gente. Mi è capitato, per esempio, in mezzo ai berberi, di fare il ritratto al muezzin, il loro capo spirituale: c’era tutta la gente lì attorno e lui immobile che non ha battuto ciglio. Mi hanno dato omaggi e cose grandiose.
    L’arte mi ha aiutato tantissimo, perché non riuscendo a parlare – ad esempio in Marocco i berberi parlavano solo le loro lingue – questo disegnare mi ha aiutato molto. Un gruppo di bambini era rimasto molto colpito dalla figura del nostro prete, tutto vestito di nero con il cappello; io lo disegnavo, glielo facevo vedere, loro lo guardavano e ridevano… ridevano a vedere questa figura tutta vestita di nero. Attraverso il disegno mostravo a questi bambini come era il loro muezzin e com’era il nostro prete.

    In quel caso l’arte ti è servita per entrare in relazione con le persone.

    Sì, proprio per entrare in relazione con le persone. 
    Anche in India avevo sempre il mio album con i miei gessetti per disegnare le persone. Parlavo attraverso il disegno. Questo mi ha aiutato tanto a mettermi subito in relazione con le persone del posto, ancora di più delle parole e delle lingue. Poi sono andata anche all’ISMEO a studiare l’hindi, riuscivo a leggere un po’ i nomi delle strade; ma la prima volta che in India ho provato a parlare un po’ hindi con un bambino di una famiglia indiana, la signora mi ha detto “mio figlio parla solo inglese”.

    Quindi l’arte ti è servita per entrare in relazione e superare le barriere linguistiche, mentre viaggiavi in paesi di cui non necessariamente sapevi la lingua.

    Esatto. E poi mi ha aiutato anche nella mia timidezza – io sono molto timida – perché non dovevo spiegare niente a nessuno. Mi mettevo lì e disegnavo. 

    E facevi soprattutto ritratti?

    Sì, soprattutto ritratti, mi piaceva ritrarre le persone.

    Dipingere o disegnare ti allena lo sguardo. Devi per forza prestare molta attenzione a quello che stai disegnando. Il disegno è un grande lavoro sullo sguardo e sul vedere.

    Sì, è vero, non ci ho mai pensato in questi termini. Io disegnavo e basta, fin da piccolina ho sempre disegnato.

    Dicevo questo anche perchè Marilia Albanese ci ha fatto vedere un video di un maestro zen di cui non ricordo il nome, che era un artista, e parlava molto dello sguardo e del fatto che viviamo in una società in cui siamo talmente bombardati di immagini che le persone non sanno più guardare, vedono tante cose ma non riescono più guardare.

    Invece l’artista ha quello sguardo.

    E per quello che riguarda la relazione tra questo tuo lato “artistico” e lo yoga: ci può essere una relazione? Quale? Tra yoga e arte ma anche tra yoga e creatività in generale.

    C’è una grande risonanza, una grande affinità tra lo yoga – l’Hatha Yoga soprattutto, lo yoga che parte dal corpo – e l’arte. Tutte le forme che lo yoga ci porta e che ci indica e anche la mia ricerca sulla simbologia, mi riportano continuamente all’arte.
    Non ho più fatto mostre, l’ultima è stata nel 1981 a Livorno, poi ho pensato di non dipingere più, ho messo via tutto; non ho più dipinto niente. Perché ho visto che tutto poteva partire dal mio corpo e che potevo plasmarlo – prima facevo anche scultura – potevo ridipingere il mio corpo, plasmarlo come si plasma la creta… non avevo bisogno di niente, non avevo bisogno della tela, dei pennelli, della situazione: ero io presente con il mio corpo. E questo mi ha affascinato tantissimo. 

    Al posto di creare un’opera d’arte esterna a te, plasmando la creta o dipingendo la tela, hai lavorato direttamente con il tuo corpo e sul tuo corpo.

    Esatto. E poi, sai, gli artisti sono tutti fuori dal centro, non sarebbero artisti altrimenti. Lo yoga invece mi ha aiutato a ricompattarmi e a riprendere il mio centro.

    In questo senso, le due cose sembrano anche un po’ in contraddizione: l’essere fuori dal centro dell’arte e l’essere centrati dello yoga.

    Sì, certo.

    Se dovessi pensare a un artista in particolare che ti ha ispirata?

    L’arte è arte, è difficile dire un artista. Mi piacciono tutti, ognuno nelle varie epoche ha dato qualcosa del suo tempo. 
    Quando andavo all’istituto d’arte, avevo 16 anni, allora guardavamo molto bene agli Impressionisti, perché erano quelli più vicini a noi, gli altri li vedevamo un po’ come dei manieristi.

    Gli impressionisti sono anche quelli che per primi hanno iniziato a rompere gli schemi nel mondo dell’arte.

    Esatto.
    Ricordo poi che all’Istituto d’arte tutti gli anni ci portavano nelle grandi città: ci hanno portato a Parigi per dipingere sulla Senna, a vedere tutta la Spagna…
    Una cosa che mi aveva colpito molto a Barcellona era che il nostro professore d’arte ci disse: “Adesso vi porto a vedere l’obbrobrio della Sagrada Familia”. Lui la vedeva come un obbrobrio, un’offesa all’arte. E allora anche noi l’abbiamo vista come un’offesa all’arte. Poi, rivedendola negli anni, ho visto delle cose straordinarie. E ho visto, tra l’altro, che questo uomo straordinario che era Gaudì era un iniziato. Se la guardi bene – e l’ho vista tante volte perché tutti gli anni sono sempre andata in Spagna a tenere degli aggiornamenti per gli insegnanti di yoga spagnoli – scopri sempre qualcosa di nuovo: tutte le volte scoprivo qualcosa di questo viaggio iniziatico. La Sagrada Familia è un viaggio iniziatico. Se la guardi dal portale centrale, guardi tutte le tartarughe, le chiavi, tutti i simboli… vedi come Gaudì era vicino e guardava molto alla natura. E noti tante cose particolari, per esempio, intorno alla Sagrada Familia non ci sono i fiori e le piante classiche: sono tutte erbe officinali. La Sagrada Familia è un’opera straordinaria e invece a noi la facevano vedere come un obbrobrio! 

    La prima volta che ho visto la Sagrada Familia ero una bambina e mi aveva colpito molto. Poi mentre facevo l’Università ho studiato sei mesi a Barcellona. Dopo non ci sono più andata per tanti anni e ci sono ritornata proprio l’anno scorso: adesso si riesce ad entrare e c’è tutta una parte interna finita. 

    Sì, ci sono tornata anche io qualche anno fa a Barcellona, perché c’è un gruppo che fa Yoga Ratna lì. Ho rivisto la Sagrada Familia e ho visto anche che ci sono tanti artisti giapponesi che lavorano lì, alla sua costruzione.

    Se dovessi dire che cos’è l’arte per te?

    [sorride in silenzio]
    Cos’è l’arte? …
    Non so, adesso guardo molto alla natura che mi circonda. Guarda quel fiore lì. La natura è la più straordinaria artista che possa esistere. Ti pianta lì dei fiori del genere, li guardi, guardi i colori, le forme e dici: come fanno a nascere questi fiori meravigliosi, con queste forme, questi colori?
    A confronto ti senti proprio piccolo. 
    Non posso neanche più dire di essere un’artista, la vera arte è lì: è la natura.

    (I fiori indicati da Gabriella)

    Ho sempre visto una relazione tra il tuo Yoga Ratna e l’arte, intesa come creatività. Il tuo Yoga Ratna è creativo.

    Certo. Lo Yoga Ratna è creatività, lo Yoga Ratna è creativo. Quello che mi piace moltissimo è riuscire a tirare fuori dalle persone quello che hanno dentro e che non sanno di avere. E lo ritrovano attraverso le forme dello Yoga Ratna.

    Esatto, questa cosa secondo me è bellissima. Tu insegni questo e insegni ad essere creativi. Anche a noi, ai tuoi allievi della scuola di yoga, dici sempre di essere creativi, ci inviti ad esserlo, anche nello yoga.

    Certo, secondo me è proprio questo il bello: prima di tutto ognuno deve spaziare per quello che ha dentro. Non posso dirti: devi fare questo. Tu devi cominciare a sentire te stessa e sentire che cosa hai dentro. Noi abbiamo dentro davvero tutto ed è vero, non è per ridire le parole dei saggi. Attraverso lo Yoga Ratna lo portiamo fuori. Ma tutto questo c’è già dentro a ognuno di noi. 

    Quindi in un certo senso portiamo fuori anche la nostra parte creativa che tante volte non sappiamo di avere?

    Sì. Perché è offuscata, non la conosciamo, non la riconosciamo. Dentro a tutte le persone c’è una forma straordinaria d’arte, però occorre riconoscerla.
    Nello yoga, almeno in quello che conosco e percepisco come yoga, c’è un’esplosione di creatività.

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    6 comments
    Intervista a Gabriella Cella (2° parte)

    • Sonia ha detto:

      Lo yoga RATNA ha riportato a “galla” la mia passione e voglia di fare arte. Infinite grazie a Gabriella

    • Gisella ha detto:

      Grazie, questa intervista mi conferma una cosa che avevo percepito dello yoga ratna, è uno yoga vivo! Voi giovani insegnanti pur rispettando il “nucleo” dello yoga ratna, la visione femminile, il simbolo, apportate la vostra visione, la vostra personalità, la vostra arte… è materia viva, in evoluzione, è rispetto per l’individualità, vostra e delle vostre allieve… bellissimo…. Grazie 🙏🏻

      • Eleonore ha detto:

        Grazie davvero per le tue parole, credo che tu abbia colto quello che può essere considerato il cuore, o uno dei cuori, dello Yoga Ratna e l’hai espresso in un modo che neanche io sarei riuscita a fare 🙏🏻♥️

    • Michela ha detto:

      Questa intervista è davvero bella perché mette in luce aspetti poco noti, ma molto significativi dello Yoga Ratna e della sua creatrice.

      Le parole di Gabriella mi risuonano molto: sempre più nella mia pratica personale e nell’ insegnamento di questa disciplina, sento e sperimento questa connessione tra Yoga Ratna e arte. L’arte di rincontrare noi stessi e di plasmarci attraverso gli asana e i loro simboli, come dice Gabriella nell’intervista. L’arte di raccontare, attraverso il corpo, storie che arrivano alla nostra interiorità.

      È meraviglioso come lo yoga, percepito spesso in modo così austero, grazie alla reinterpretazione di Gabriella Cella, possa diventare anche creatività, pur nel rispetto della disciplina.

      Davvero lo Yoga Ratna è uno dono prezioso, uno strumento vivo e vitale, da cui non si smette mai di imparare.