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    RESPIRO, essenza dello yoga

    15 Dicembre 2020 • Serena

    In conversazione con Sandra Sabatini

    “A lungo ho esitato a scrivere sullo yoga e sul respiro. Mi sembrava impossibile che le parole scritte in una pagina potessero rimanere vive come io le volevo vive per chi stesse leggendo un mio libro. Vive nel desiderio di raggiungere l’altro”.

    Sandra Sabatini

    Sandra Sabatini è la mia insegnante di yoga. Sandra mi ha aperto a una relazione con lo yoga e con il respiro completamente nuova: una relazione che nasce dalla gentilezza e dal rispetto per la profonda intelligenza che abita il corpo. È stata allieva di Vanda Scaravelli: sorridendo mi racconta che la sua lezione con Vanda è iniziata nel 1980 ed è durata 19 anni, fino alla sua scomparsa del 1999.

    Questo incontro segnò un prima e un dopo nella sua pratica personale e nel suo insegnamento, cambiando radicalmente la sua visione dello yoga.
    “Cominciai a sentire il bisogno impellente di liberarmi da tutte quelle strutture che i primi anni di yoga mi avevano appiccicato addosso e che mi facevano sentire lo yoga non solo stretto, ma avaro” – mi racconta Sandra. “Avaro nel senso di non generoso, non spazioso. Con questa idea che c’erano dei segreti che prima o poi mi sarebbero stati svelati. Era una cosa che mi creava insofferenza e un moto di ribellione interiore: Scusi? Ma quali segreti? Di cosa stiamo parlando?“.

    La prima idea del libro “Respiro, essenza dello yoga” arrivava da qui: era per Sandra un modo per sovvertire questa pesantezza, quasi a dire: “Con il respiro divertiamoci, scopriamo, ascoltiamo!“.

    “A lungo ho esitato a scrivere sullo yoga e sul respiro. Mi sembrava impossibile che le parole scritte in una pagina potessero rimanere vive come io le volevo “vive” per chi stesse leggendo un mio libro. “Vive” nel desiderio di raggiungere l’altro” – continua Sandra.
    La vitalità delle parole raccolte arrivava perciò dalle lezioni di yoga di Sandra, poi selezionate e trascritte.

    Il libro è appena uscito in una nuova edizione, a ventanni dalla prima, dopo una completa revisione editoriale, frutto del prezioso lavoro di Silvia Tassinari (Edizioni Tassinari).

    Ho raccolto in questa intervista le parole con cui Sandra mi ha presentato la nuova edizione del suo libro e ho accolto il suo desiderio personale di poter condividere quanto di prezioso ha finora incontrato nel suo percorso personale sulla via dello yoga.

    Io e Sandra ci auguriamo che queste parole possano accompagnarvi e nutrirvi nella pratica e nella vita.

    Un libro da ascoltare

    Serena: Questo libro è scritto e contiene parole, ma ha una veste tipografica ed editoriale molto particolare che lo rendono più simile a una partitura musicale.

    Sandra: “Mi stupisce molto che tu la chiami partitura perché in effetti c’è un ritmo. È il risultato del lavoro fatto con l’editrice Silvia Tassinari per questa nuova edizione: lei pratica e insegna yoga ed è stata fondamentale nel dare una cronologia – che nello yoga in effetti non c’è; una cronologia alla luce di una pratica che dura per parecchi anni.

    Quando scrissi il libro per la prima volta vent’anni fa mi trovavo in un momento estremamente emotivo: lasciavo uscire le cose e questo mi rendeva felice, ma non le mettevo in ordine, anche perché non avrei saputo come metterle in ordine.

    Riguardando il libro in questi mesi, per preparare la nuova edizione, continuavo a sentire che alcuni eventi che accadono dentro di noi – mentre si pratica yoga – possono avere una cronologia. Cosa che quando ho scritto il libro non mi interessava: era qualcosa che non sapevo, e che forse non avrei saputo riconoscere. La scrittura ventanni fa era un torrente in piena.

    Con l’aiuto di Silvia Tassinari abbiamo ricostruito quello che (forse) viene prima e quello che (forse) può accadere dopo. In una pratica che comunque per ognuno di noi è diversa. Credo sia soprattutto questo ad aver creato il senso di ritmo che si percepisce in questa nuova edizione del libro”.

    Giocare con lo yoga

    Serena: Per te lo yoga è uno strumento con cui giocare. Nel libro dai due indicazioni: giocare con una idea alla volta e farlo con “garbo”.  Spiegami…

    Sandra: “Garbo” è una parola molto toscana e molto antica, però nel garbo c’è un desiderio di togliere rigidità, di togliere un punto di arrivo, per rimanere nel gioco e nella gentilezza. In un ascolto che poi dura tutta la vita.

    È solo in questo stato di “innocenza” e nella possibilità di “stupirci” che lo yoga diventa qualcosa di vitale nel nostro quotidiano.

    Sandra Sabatini

    L’idea dello yoga come gioco si riferisce a quella particolare predisposizione interiore che abbiamo quando siamo bambini. Da bambini non solo abbiamo il gusto della ricerca e dell’avventura, ma siamo anche pieni di stupore. È solo in questo stato di “innocenza” e nella possibilità di “stupirci” che lo yoga diventa qualcosa di vitale nel nostro quotidiano.

    Yoga e immaginazione

    Serena: Nel libro inviti a sperimentare la leggerezza di immagini diverse. A che immagini ti riferisci?

    Sandra: Un modo per praticare con il libro è prendere un’immagine, giocarci per un po’ e poi metterla nel cassetto e giocare con un’altra. Poi riprendere quella vecchia. È un po’ come si fa con i giochi in effetti. Se giochi sempre con lo stesso gioco ti annoia: ne sai tutti i trucchi, ti crei delle aspettative e diventa noioso.

    D’altra parte abbiamo dentro di noi un mondo di immagini e rispondiamo alle immagini in maniera diversa.
    Come insegnanti di yoga abbiamo necessariamente bisogno di attingere alle nostre immagini interiori, ma con la consapevolezza che non sempre corrisponderanno alla persona a cui insegniamo e che quindi abbiamo bisogno di varietà.

    Qui ci sono due elementi.

    È importantissimo giocare con le immagini: le nostre e quelle che vogliamo spartire con gli altri. Di sicuro qualcosa in noi risponde quando la pratica ha questo supporto. Ma altrettanto sicuramente ognuno di noi ha risonanze diverse.

    Perciò, come insegnanti è bene portare tante immagini diverse ai propri allievi; come allievi è bene mantenere una immagine a supporto della pratica  finché è viva e poi saperla mettere da parte. Potremo sempre tirarla fuori qualche tempo dopo.

    Il pranayama non è una tecnica

    Serena: Presenti le ‘tecniche’ del respiro, ma non le chiami tecniche. Come mai?

    Sandra: Vanda (Scaravelli), la mia insegnante, non amava il termine “tecniche respiratorie”. Forse alla fine ci siamo trovate d’accordo nel chiamarli “ritmi respiratori”.

    Era importante potersi liberare di tutte queste parole, che non sono solo parole ma concetti: tecniche, posizioni, allineamento, raggiungere, immobilità.Tutto questo faceva parte di un mondo che andava fatto sgretolare in qualche maniera. Nel passare questo messaggio di libertà, di ricerca, di esplorazione.

    Serena: Una esplorazione piena di incontri… Tu parli di Kapalabhati come di una entità vivente!

    Sandra: (ride) Sì. L’ho sempre visto come un mago dal respiro possente che aveva la capacità di portare via nuvole nere, ossessioni, chiusure.
    Una mago che con il suo soffio perentorio poteva modificare non solo l’incontro con la terra e con lo spazio, ma poteva creare un nuovo modo di sentire il respiro. Sì… Un mago… molto potente!

    Lo yoga come viaggio di una vita

    Serena: Per introdurre il tema del respiro scegli di partire dai suoi ingredienti essenziali: l’inspiro, l’espiro e i due momenti di vuoto che ci sono tra l’uno e l’altro. Le pause. È questo che mi ha dato l’idea della musica e del ritmo. Il silenzio è fondamentale per la musica, fa parte della musica. Tu dici lo stesso del respiro. Quel vuoto non è un vuoto.

    Sandra: Un percorso di yoga  è un percorso di anni, non di due settimane. Lo immagini come un percorso che probabilmente ti accompagnerà per tutta la vita.

    Il respiro è quella chiave che ti fa entrare in questo mondo, che non è parallelo per niente: è il tuo mondo di tutti i giorni.
    Ma se non sai della sua esistenza e non entri nello yoga con il respiro – fin dall’inizio – hai quanto di più forviante ci possa essere nello yoga.
    Ti porta fuori strada. In una cosa che puoi trovare benissimo in altri luoghi.

    Lo yoga è il respiro. E il respiro è la vera essenza dello yoga.

    Quando ho iniziato a praticare – prima di incontrare Vanda – le lezioni sul respiro venivano date come oro colato ogni tre mesi: uscivi da ogni incontro veramente tesissimo, frustrato e con le lacrime agli occhi. Erano di una violenza incredibile, con risultati spaventosi.

    Il messaggio era passato con una tale cattiveria e con tutta una serie di imposizioni. Io mi resi conto che respiravo sempre dalla bocca e passare dal respirare dalla bocca al naso fu un’impresa. Avevo dolori ovunque. Le spalle mi si incastravano in continuazione; le lacrime erano una presenza fissa.

    Il semplice passaggio dal respirare dalla bocca come fanno molte persone al respirare con il naso. Ha richiesto mesi. E da lì c’è stato un cambiamento fisico incredibile.

    È un gran viaggio.
    A volte ho dei momenti in cui mi dico: ah sì, è vero! Certo che se il corpo ha fatto un viaggio di consapevolezza ora il respiro è molto più facile. Perché questa è la teoria di molte scuole. Però mi devo poi ricordare: no! Perché se sono qui – e posso stare seduta venti minuti tranquilla – è perché ho cominciato dal respiro. E’ lui che mi ha aperto le porte. Non è l’elasticità fisica.

    Ricordo di posizioni che non riuscivo assolutamente a fare prima: una volta che prestavo attenzione e rispetto al respiro, ai piedi, a tutto il corpo, venivano! Vengono tuttora.

    La pratica non ha niente a che fare con l’obbligo:  è un amplificatore della tua capacità di amare, della tua capacità di vivere le cose. È un sostegno. Qualcosa di molto valido.

    Sandra Sabatini

    La paura del nuovo

    Serena: Quando si pratica seguendo il viaggio del respiro come tu lo proponi nella tua pratica e nel tuo libro, arriva a un certo punto il sentore di una intensità molto grande che è una promessa ma che allo stesso tempo fa paura.  Di cosa si tratta?

    Sandra: La paura è di entrare nel nuovo, di entrare nel diverso, di lasciare quello che conosciamo per avventurarci in qualcosa di molto promettente e molto persuasivo. Come qualcuno che ti dice: Vieni! Vieni! Vieni avanti. Se molli, se lasci andare, se fai almeno il passo successivo, entri….

    È molto difficile parlarne, perché sembra di parlare di magia. Ma non è così. È davvero molto accessibile, molto vicino a noi e, secondo me, molto necessario perché altrimenti è come vivere dentro una scatolina di fiammiferi pensando che quella sia la nostra casa.

    L’importanza del piccolo: yoga essenziale

    Credo molto nel piccolo. Lo yoga non è complesso, non è lontano da tutti noi. E’ qualcosa di essenziale di cui abbiamo tutti bisogno. Un tempo poteva essere una scelta elitaria, ma oggi è una scelta necessaria. E soprattutto: è qui.

    Sandra Sabatini

    Serena: Quando guidi le tue lezioni – e perciò anche nel libro – parli di spirali, di vortici, di epicentri: dai l’idea di un movimento del respiro rotondo e molto dinamico. E poi inviti a praticare le posizioni di yoga (che però tu non chiami posizioni): Quel capitolo del libro lo chiami “yoga essenziale”.

    Sandra: Credo molto nel piccolo. Credo nell’importanza del piccolo movimento nel mignolo per esempio. Lo yoga non è complesso, non è lontano da tutti noi. È qualcosa di essenziale e di cui abbiamo tutti bisogno. Un tempo poteva essere una scelta elitaria, ma oggi è una scelta necessaria. E soprattutto è qui. Sempre a portata di mano.

    È davvero difficile raccontarlo a parole. Capisco i maestri che rispondono: pratica! In effetti a parole cosa possiamo dire? Sei stata lì seduta venti minuti e hai solo respirato. Raccontami:cosa è successo? E nel momento in cui cerchi di metterlo in parole… svanisce!

    Non è che sia un segreto o un mistero. È semplicemente qualcosa di impalpabile che non si può mettere a parole. E per fortuna!

    Però è necessario, è essenziale. Non ne puoi fare a meno.

    Molti mi dicono: io amo essere libero e poi lo yoga diventa un obbligo.

    Ma la pratica non ha niente a che fare con l’obbligo:  è un amplificatore della tua capacità di amare, della tua capacità di vivere le cose. È un sostegno. Qualcosa di molto valido.

    Serena: Nel libro racconti anche che la pratica non è sempre gradevole.

    Sandra: No, perché nel guardare dentro puoi trovare cose belle e rassicuranti ma puoi trovare anche infelicità, malinconia, un dolore vecchio che riemerge, un tuo momento di aridità
    E lì.
    Basta non mettergli etichette e accoglierlo per quello che è.

    Anzi, la maggior parte delle volte l’inizio della pratica non è gradevole perché quello che di noi sta in superficie è come in ebollizione tutti i giorni: assomiglia a una schiuma un po’ fangosa, un po’ problematica. Passati quei primi momenti dell’inizio della pratica questo fango, questa schiuma trova un suo luogo diverso e diventa più fluido, più chiaro, meno doloroso.

    Creare una pratica quotidiana

    Serena: Inviti a un certo punto a praticare da soli. Eppure c’è bisogno di una guida. Spesso fare yoga è andare a lezione di yoga e poi nella propria stanza si fa fatica. Cosa devo cercare per creare una pratica quotidiana?

    Sandra: È semplicemente il corpo che te lo chiede!
    A volte un dito fa male e sembra dirti: “Scusa… però… se mi allunghi un pochino, forse staremmo meglio! ”.
    È un bisogno di stare uniti, di stare insieme, di non disgiungerci, di non scollegarsi.
    Nel tempo impari a riconoscere subito questo bisogno: non è più la testa che ti dice: “Hey! Abbiamo perso i piedi!”. Sono i piedi che ti dicono: “Scusi possiamo stare insieme perfavore?”.

    Questo però ha bisogno di una guida in un periodo iniziale.

    Ho visto molte persone iniziare dai libri di yoga, ripetere quello che avevano letto. Forse ci sono persone molto speciali che riescono a farlo, ma il mio consiglio è di avere una guida, almeno per i primi tempi. Proprio per smussare gli angoli e aiutarci a uscire dal nostro imperativo categorico: Ora fai yoga! Bisogna farlo tutti i giorni!

    Dopo un inizio sotto la guida di qualcuno, fare yoga non è neanche più un bisogno: è un desiderio quotidiano di avere quel piccolo sprazzo che ti fa guardare alla rosa che è appena sbocciata in giardino e ti fa assaporare la grandiosità dell’evento.

    Ma per questo ci vogliono gli occhi e ci vuole un tipo di presenza che viene con il tempo. E lo yoga è un grande aiuto.

    Serena: Forse è per questo che la tua la tua lezione con Vanda è durata 19 anni?

    Sandra ride e non risponde 🙂

    Buona pratica a tutti da me e Sandra (Sabatini)

    RIFERIMENTI

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